Dal campo

Da Prato: festa nel parco

Una festa informale nel parco, per mangiare, giocare e parlarsi, ripercorrendo il cammino realizzato insieme e per comunicare quello che P.I.P.P.I sta facendo, ma anche incuriosire altre famiglie e magari scoprire il lato umano di quelli che possono sembrare operatori “extraterrestri”.  Il racconto di Ana Maria Blanaru, assistente sociale, traccia le linee di un intervento integrato e ben inserito dentro la comunità, che collega mondi spesso lontani e non comunicanti. “La parte di attività con i gruppi è la più entusiasmante, la più trasformativa un po’ per tutti, anche per gli operatori. Impari a livello umano, a livello professionale. E quando il gruppo inizia a funzionare, questi genitori lo guidano da soli. A Prato esiste il Centro per le famiglie, aperto nel 2020 e ancora poco conosciuto dalla cittadinanza, dove ha sede il servizio adozioni, il counseling per adolescenti, la mediazione familiare. È anche la casa di P.I.P.P.I. perché lì si fanno le formazioni, i tutoraggi e i gruppi di sostegno alla genitorialità. Sono gruppi stabili: due volte l’anno si realizza un modulo in primavera e un altro in autunno di otto incontri e ogni volta finiamo con una festa”.

Questi gruppi sono sempre misti, non sono coinvolte solamente famiglie inserite nel Programma P.I.P.P.I., ma partecipano anche altre famiglie seguite dai servizi, magari per contributi economici, non per motivi di tutela o di negligenza, oppure famiglie con bambini con disabilità e c’è chi viene accompagnato dai nonni. A questa festa invitiamo tutte le equipe multidisciplinari, variamente composte: partecipano assistenti sociali, educatori, i bambini con i fratelli e le sorelle, gli zii, i nonni. Invitiamo sempre gli amministrativi, i coordinatori dei servizi, perché possano incontrare le famiglie e capire come lavoriamo con loro.

È una festa informale, di solito predisponiamo un buffet, spesso le famiglie portano del cibo, the, biscotti, ognuno quello che può. Facciamo dei giochi condivisi bambini-genitori-operatori e mostriamo il video del percorso. In ogni ciclo di incontri realizziamo delle foto, delle riprese, prendiamo nota delle frasi significative che si dicono e prepariamo il video che facciamo vedere alla festa finale. Consegniamo anche un dono alle famiglie: può essere il libretto con tutti i disegni fatti dai bambini o un oggetto simbolico legato al percorso.

A giugno di solito è bel tempo e ci siamo detti: “Perché non fare questa festa del gruppo in uno spazio pubblico? Se siamo in un parco possono vedere la festa anche altre famiglie e magari si incuriosiscono.”  Anche questo può essere un modo per comunicare quello che P.I.P.P.I sta facendo. E poi i bambini nostri a volte non conosco nemmeno la loro città, i parchi più belli.

Così abbiamo organizzato la festa in un bel parco nella parte nord della città che ha anche una parte di bosco e ci siamo seduti in cerchio, ognuno con la sua copertina, intorno a un albero dove abbiamo messo tutte le fotografie dei bambini; poi abbiamo visionato insieme il video sui dispositivi e abbiamo giocato tra bambini, genitori e operatori. 

È stato bello perché qualche famiglia si è avvicinata incuriosita e ha giocato con gli altri bambini e gli operatori. C’è chi viene con il proprio bambino e gli altri scoprono un po’ anche il lato umano di noi “extraterrestri” operatori.

C’era una mamma al parco che conosceva di vista un’altra mamma che aveva partecipato ai gruppi. Si sono salutate e si è seduta sulla coperta, ha visto il video con tutti gli altri. L’altra mamma le spiegava cosa sono i gruppi e l’ha invitata a partecipare. Entrambe le mamme erano sole e con due figli.

Abbiamo una bambina sinti in P.I.P.P.I.12: loro non escono quasi mai, non hanno momenti di condivisione con noi “gagi”. Questa famiglia ha partecipato ai gruppi e sono venuti alla festa e per tutto il tempo della festa questo papà sinti stava a chiacchierare come se fosse amico da sempre con altro papà e non c’era modo di separarli. Alla fine, la bimba ha detto al papà davanti al suo educatore: “Papà, ma perché noi non veniamo mai in questo giardino?”.  E lui le ha risposto: “Perché è lontano”. In realtà sono appena dieci minuti di distanza in auto. Ma la bambina si è sentita legittimata di chiederlo al suo papà. 

(testimonianza raccolta da Ana Maria Blanaru, assistente sociale – SDS Pratese

0 Comments