Seminario ART BASED RESEARCH FOR CARE PROFESSIONALS. Linguaggi simbolici ed espressivi come expertise nei processi di cura: studi e buone prassi

Un seminario per quanti si confrontano con situazioni di vulnerabilità e la comune ricerca di senso, che si dedicano a formare soft skills, competenze e processi di cura degli altri ma anche di sé stessi. E a quanti vivono la comune esperienza della fragilità. Si tiene il 26 novembre 2024, dalle ore 15.00, presso la Biblioteca di Comunità di Palazzo Ateneo, in Piazza Umberto I, all’Università di Bari, fruibile anche in modalità on line (per info e iscrizioni: alessia.loiacono@uniba.it; f.pennati@puntodincontro.org).

È un cuore che si fa mani aperte a contenere fioriture artistiche l’immagine scelta per “Art based research for care professionals. Linguaggi simbolici ed espressivi come expertise nei processi di cura”: una proposta di studi in crossing disciplinare per la formazione dei professionisti di cura, inserita nella Rassegna scientifico letteraria della Scuola di Medicina UniBa diretta da A. Chiara Scardicchio che intende esplorare contesti diversi, a partire da una letteratura scientifica sempre più ricca, declinata con esperienze sul campo. Una possibilità per tutti: Arte e Cultura per acquisire una “capacità di umano”, una capacità di apertura, di interrogazione continua in una prospettiva di potenziamento dei processi di resilienza.

Abbiamo chiesto a A. Chiara Scardicchio direttrice scientifica della Rassegna scientifico letteraria della Scuola di Medicina UnBa di raccontarci l’intreccio tra cura e arti, medicina e cultura, best practices nei servizi pubblici e del privato sociale, anche con riguardo al mondo di P.I.P.P.I.: bambini, famiglie e operatori che si confrontano con situazioni di vulnerabilità.

In che percorso è inserito il seminario?
Il seminario nasce all’interno della Rassegna scientifico-letteraria “Raccontami una storia e resterai in vita” – Medicina Narrativa e Medical Humanities della scuola di Medicina dell’Università di Bari. Si colloca quindi dentro un percorso che già da quattro anni ha integrato le arti nel piano formativo offerto agli studenti della scuola di Medicina, ma non solo, anche ai professionisti della relazione di aiuto e a tutto il territorio, in quella che noi chiamiamo Terza missione. Perché l’arte rappresenta una possibilità formativa preziosa per il lavoro sulle cosiddette soft skills, le competenze che non sono riconducibili a una prestazione di tipo tecnico, ma che riguardano l’area del sé e delle relazioni. Dunque, i processi di cura degli altri ma anche di noi stessi.

Arte, arti, cura, medicina: in che orizzonte si implicano? Perché? Il nesso tra cultura e medicina potrebbe sembrare soltanto un vezzo, mentre invece ha a cuore un passaggio fondamentale che possiamo riassumere nell’espressione “chi sa solo di medicina, non sa nulla di medicina”. Vuol dire che chiunque ha come identità professionale la cura dell’altro ha da acquisire tanto conoscenze disciplinari, dunque competenze tecniche, quanto, possiamo dire “capacità d’umano”. “Capacità d’umano” è l’’uscita da un posizionamento individualista, è un lavoro sul sé che può avvenire soltanto attraverso il riconoscimento della relazione come cruciale per la cura dei processi identitari, tanto personali quanto professionali. In questa dimensione la cultura – che non corrisponde a una disciplina o a un contenuto – ma corrisponde a una capacità di apertura, di interrogazione continua, è allora fondamentale in qualsiasi professione, anche per un ingegnere: la formazione attraverso la letteratura e le arti comporta non soltanto un potenziamento delle competenze emotive ma anche di quelle cognitive. A maggior ragione nei contesti educativi e in quelli medico-sanitari.

Un esempio di studio e un esempio pratico, in un servizio?
In questo senso il seminario propone diversi contesti e diverse ricerche sul campo: dall’accompagnamento dei bambini in situazione di malattia oncologica, a quello con le persone con disabilità, all’esperienza che ognuno di noi fa nel racconto del suo dolore, del suo limite, attraverso i linguaggi simbolici, all’utilizzo della musica in età evolutiva. Forme cruciali per esercitare la nostra capacità simbolica: cioè la possibilità di dare un senso a quello che immediatamente sembra non averne, rispetto a cui le arti non rappresentano solo una tecnica, ma una vera e propria possibilità di formazione.

Qual è il valore di narrazioni nuove anche nel mondo di P.I.P.P.I.?
Una delle caratteristiche della proposta formativa P.I.P.P.I. è proprio quella di aver dato un’importanza cruciale all’utilizzo dei linguaggi simbolici, non soltanto per
l’accompagnamento dei bambini e delle bambine e delle famiglie, ma anche nella formazione degli operatori stessi. Questo perché tanto in età evolutiva quanto in età adulta, potenziare il linguaggio simbolico corrisponde – e la letteratura scientifica lo sottoscrive – al potenziamento dei processi di resilenza. La quale non corrisponde assolutamente al pensare che andrà tutto bene o che riusciremo a risolvere ogni difficoltà come dentro una narrazione “onnipotente” si intende, sempre più spesso, la resilienza. Il legame tra linguaggi artistici e P.I.P.P.I. è la cura dei bambini, delle bambine e delle loro famiglie, ma anche la cura della formazione di tutti gli operatori: poiché riguarda la fragilità che tutti ci accomuna e la comune ricerca di senso. La nostra possibilità di cercare nell’ora in cui è più difficile trovarlo, un filo, un filo rosso che ci consente di tenere insieme i frantumi rispetto a cui il cinema, la letteratura, la musica, non hanno soltanto un valore consolatorio ma sono forme fondamentali della nostra narrazione interiore che ci consentono di trasformare anche il dolore e la fragilità in apprendimento.


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