Dal campo

DAL VENETO: Allargare le reti e lo sguardo

Una genitorialità attiva. La DGR Mille Giorni della Regione Veneto è un’azione molto ampia che finanzia interventi con genitori, con famiglie e con bambini nei primi tre anni di vita, e che ha coinvolto P.I.P.P.I. in una proposta trasversale sulla formazione per operatori e operatrici, in particolare con le Mappe 0-3. Ne abbiamo parlato con Pasquale Borsellino direttore dell’Unità Famiglia, Minori, Giovani e Servizio Civile della Regione Veneto.

Come ci inquadra questa articolata iniziativa della Regione Veneto?

“Questa è una direttiva che ha un obiettivo fondamentale, così come tutti i fondi FS Plus, quello di aumentare la capacity building. A noi interessa che sul territorio tutta la tematica che ha a che fare con l’offerta di servizi, l’offerta attiva di opportunità per i neogenitori, non sia solo consultoriale. L’offerta consultoriale si chiude col pre e post-partum. Qui c’è uno spostamento. Ci interessava che i Comuni, gli Enti locali, cominciassero a sviluppare delle attività in favore della neogenitorialità, individuando in essa uno dei primi elementi che poi possono fare decollare le politiche per la famiglia. Se prendiamo in carico i neogenitori, questo significa che tutti i Comuni sono chiamati a produrre una serie di iniziative a favore della famiglia che possono essere di tipo assistenziale, di appoggio, sostegno, e anche di tipo reddituale ed economico. Quindi la prima esigenza per noi era spostare l’asse da solo assistenziale, di tipo sanitario, consultoriale, a quello territoriale. In un’ottica però che creasse una rete, nel senso che a prescindere dal finanziamento e dalla durata del progetto – questo ci chiede l’Europa – poi i nostri sistemi implementassero prassi buone, nuove, innovative. Per questo abbiamo introdotto la dimensione orizzontale: quindi i 21 ATS in maniera verticale sviluppano delle attività, delle progettualità, ma poi con l’Università Ca’ Foscari, convenzionata anche con l’Università di Padova e di Verona, in maniera orizzontale ci interessa capire quali sono i bisogni formativi per permettere alla rete di implementarsi, di strutturarsi. Soprattutto ci interessa capire quali possono essere le buone prassi, qual è la cosa che funziona di più. Di fatto adesso si stanno strutturando tutta una serie di attività, a mo’ di catalogo, dalle consulenze pedagogiche, alle attività gruppali formative, a gruppi secondo la modalità a gruppi di parole, eccetera. Ma a noi quello che interessa e che chiediamo alle Università è come fare in modo che tutti questi nodi delle reti collaborino tra di loro. E qui la formazione è importante, una sorta di aggiornamento culturale, di condivisione di linguaggio comune, per capire cosa funziona un po’ di più, quali attività possono in qualche modo sedimentare un maggiore risultato in termini di appropriatezza e di efficacia. Qui l’Università ha tanto da lavorare. 

– Cosa apporta, secondo lei, il modello di lavoro del LEPS P.I.P.P.I. in questo senso?

P.I.P.P.I. come LEPS è il punto di riferimento dal punto di vista del paradigma culturale e scientifico. La multidimensionalità, la multi-professionalità, il lavoro in équipe sono gli assiomi intorno a cui deve fare riferimento tutta l’attività del lavoro comunitario. Non a caso con il LEPS P.I.P.P.I. adesso abbiamo l’équipe multidisciplinare con l’attivazione di psicologi e assistenti sociali negli ATS.  E adesso arriveranno le risorse. Penso che P.I.P.P.I. da questo punto di vista sia stata un po’ la rivoluzione dal punto di vista degli interventi territoriali. Nessuno più può lavorare da solo, nessuno può fare le cose confrontandosi solo con le idee – per così dire – dentro la sua calotta cranica o della sua specialità tecnica, perché è l’insieme delle conoscenze condivise e sviluppate nell’ottica di lavoro di rete, ma anche interprofessionale, che porta il valore aggiunto. 

– Qual è la situazione in questo momento? Quanti nuovi neogenitori ci sono in Veneto ogni anno? 

In Veneto c’è un serio problema di denatalità come il resto d’Italia: abbiamo intorno ai 32 mila nuovi nati. Ci attestiamo su un 10% dei neo-genitori che partecipa a questa attività. 

– Che auspicio ha su questo? 

Penso che il grande ritardo che abbiamo in questo momento, dal punto di vista scientifico, formativo e culturale, è sulla formazione degli operatori. Ho come la sensazione che il vero tema sia un po’ quello che ha fatto P.I.P.P.I. in questi anni, ma purtroppo non è una dimensione diffusa: il saper lavorare insieme, al di là delle appartenenze. L’auspicio è che la gente esca fuori dai propri simulacri, sia professionali che di appartenenza: Comuni, servizi specialistici, lo stesso associazionismo.

Affinare le lenti : LA VOCE DEGLI OPERATORI

Come le mappe possono cambiare l’approccio al lavoro con le famiglie?

Servono in particolare a inquadrare la situazione iniziale, insieme, in un modo che tenga conto del processo del bambino e questa comprensione sia condivisa. Nelle voci di operatori educatrici e insegnanti la testimonianza di un approccio stimolante.

“È complesso e ci vuole tanto tempo, cosa a cui non siamo proprio abituati”. “Noi non abbiamo partecipato a P.I.P.P.I.  anche se è attivo nella nostra provincia. Però è interessante perché alla fine è uno spunto che puoi usare sempre, nel colloquio con le famiglie” riconosce Jessica insegnante e vicecoordinatrice in una scuola dell’infanzia e nido nel bellunese. Eliana assistente sociale da vent’anni ormai, nell’ambito del Ven 10 Portogruaro, zona del San Donà e Comune Jesolo, si è occupata sia di famiglie con minori sia di adulti. “L’idea della partecipazione di P.I.P.P.I. mi spinge ad accompagnare le famiglie sempre, cercando di avere in mente gli strumenti di P.I.P.P.I., quindi la parte della centralità del bambino, della circolarità, della partecipazione della famiglia. Per esempio, ho in mente di utilizzare le mappe per una famiglia che sto accompagnando con un servizio educativo ma che esula da P.I.P.P.I.; credo in questo momento le mappe potrebbero aiutare noi, aiutare la famiglia e aiutare i servizi a leggere un po’ i bisogni di un bambino inserito nel nido che sembrano già essere complicati perché sospettiamo un autismo e la mamma comunque non riesce a leggere questi elementi. Per cui ho potuto sperimentare un accompagnamento che va oltre P.I.P.P.I., anche se in realtà è anche collegato, se pensiamo che P.I.P.P.I.  è un LEPS. Adesso che sono diventata anche formatrice di P.I.P.P.I. nei nostri nidi vorrei introdurre questi strumenti. Come operatrice sto seguendo una famiglia che ha un bambino piccolo, per cui se riesco ad acquisire più strumenti, poi riesco anche a passarli alla collega e quindi a quell’equipe. Utilizzare questi strumenti mi ha veramente cambiata. Faccio un esempio, ricordo che in uno dei primi webinar che ho fatto dello Speciale 0-3 di P.I.P.P.I. ci hanno invitato a affinare le lenti di salute e crescita del bambino, osservare come mangia, come non mangia, come la mamma guarda il neonato. Poco dopo, in una visita domiciliare mi sono accorta che la mamma per dare da mangiare al bambino, lo aveva spostato dal braccio all’ovetto e gli dava da mangiare senza guardarlo. Avevo proprio affinato le mie lenti. Credo che si debba essere aperti, accettare che i miei strumenti non sono solo quelli canonici rigidi, altrimenti è difficile introdurre qualcosa di nuovo. Con gli strumenti di P.I.P.P.I., con le mappe, ho visto che si può arrivare all’obiettivo in maniera molto più soft, molto più smart”.

I 1000 GIORNI E IL MONDO DEL BAMBINO A MISURA DEI 0-3 ANNI 

P.I.P.P. I. è inserito nella progettualità DGR 1000 giorni sull’azione trasversale della formazione, coordinata dall’Università Ca’ Foscari e che coinvolge anche l’Università di Padova, il Centro di Ateneo per i Diritti Umani e l’Università di Verona.

La proposta formativa sposa l’approccio che tiene insieme la formazione, la ricerca e l’intervento. Il percorso proposto dura un anno e comprende la formazione iniziale sullo strumento delle Mappe per esplorare lo 0-3 e l’accompagnamento all’intervento. 

Queste Mappe nascono all’interno delle esperienze svolte con le famiglie con figli in tale fascia d’età all’interno del programma nazionale P.I.P.P.I., volto all’implementazione del Livello Essenziale di Prestazione Sociale per gli interventi con la vulnerabilità familiare. 

Le partecipanti al percorso proposto dalla Regione Veneto sono invitate a usare le mappe con le famiglie, in modo che poi la formazione continua possa essere un’occasione di riflessione rispetto all’uso concreto dello strumento. 

Si tratta quindi di una prospettiva di formazione continua, di apprendimento dall’esperienza, di costruzione di una piccola comunità di pratiche in cui le Mappe si propongono come il mediatore della comprensione, della riflessione, delle esperienze che verranno fatte con le famiglie. Per questo si sviluppa in una doppia tornata di riflessione: ci sono gli operatori che utilizzano le mappe, nella riflessione con le famiglie e poi i ricercatori, con gli operatori e le operatrici che riflettono sulle loro esperienze. La finalità di questo agire riflessivo che si rivolge dalle operatrici verso le famiglie e dai ricercatori verso le operatrici è la costruzione di un agire maggiormente consapevole sia dei contenuti di ciò che è importante per i bambini piccoli per crescere, sia dei bisogni dei bambini e delle famiglie.

Il percorso formativo proposto prevede tre incontri di formazione iniziali e otto incontri di formazione continua, circa uno ogni mese e mezzo. È gestito e organizzato all’interno del Gruppo dello Speciale 0-3 di P.I.P.P.I. 

Partecipare a questa iniziativa è sembrata un’occasione da non perdere per inserirsi in una progettualità della Regione Veneto e tenere insieme le proposte di P.I.P.P.I. in una proposta che viene fatta su tutti gli ambiti territoriali e sociali.

L’invito a partecipare ha coinvolto specificatamente i referenti territoriali di P.I.P.P.I. dei 21 ambiti territoriali e sociali e tutti i coordinamenti pedagogici del Veneto. Il gruppo che sta partecipando è composto sia da operatrici dei servizi sociali, dei consultori familiari, assistenti sociali ed educatrici per lo più, sia da insegnanti di scuola dell’infanzia ed educatrici di nido.

(Testimonianza di Sara Serbati, Gruppo scientifico Labrief, Padova)

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