La Filastrocca del piccolo gesto importante di Bruno Tognolini uno dei più grandi scrittori italiani “per bambini e per i loro grandi” introduce all’impresa dell’incoraggiamento: Bruno racconta il suo mondo e la sua poesia e parla a P.I.P.P.I. e alla grande comunità degli “incoraggiatori e incoraggiati” che esiste davvero, come la foresta che cresce. In attesa di incontrarlo di persona il 13 maggio a Padova.
Un piccolo gesto è una pietra preziosa
cela un segreto che è molto potente
qualcosa accade, se tu fai qualcosa
e niente accade, se tu non fai niente.
Basta un secchiello a vuotare il mare?
Basta una scopa a pulire la città?
Forse non basta, ma devi provare
se provi, forse, qualcosa accadrà
È un gesto inutile, ma non importa
piccoli gesti hanno forza infinita
se ognuno spazza davanti alla porta
la città intera sarà pulita.
Filastrocca del piccolo gesto importante, di Bruno Tognolini, da Un paese bambino, Giannino Stoppani Edizioni 2011
Un’impresa di incoraggiamento
– Bruno, cosa significa che i bambini sono enigmi luminosi?
Sono più di trent’anni che giro per le scuole d’Italia. Prima ho fatto dodici anni di teatro di base, di gruppo, in giro con i furgoni, con i fari, con i cavi. Sì, io ho questo andamento, arrivo come una meteora, sto un’ora e mezza nella classe e me ne vado. Non so cosa fanno le mille ore prima e le mille ore dopo con le loro maestre. Ma non è solo questo che li rende enigmatici e luminosi. È una frase non mia, è di Daniel Pennac. Secondo me è una questione di rispetto. È il modo migliore per prevenire una serie di nostre proiezioni che pure dobbiamo dare loro, perché le nostre proiezioni sono per loro le narrazioni e le previsioni del mondo in cui andranno. Quindi non è un invito ad astenersi. Sono enigmi perché ricordo la mia infanzia come una nebbia luminosa laggiù, ma ricordo abbastanza, sono collegato a quell’infanzia lì. Anzi, mi dicono tutti: lei è rimasto un po’ bambino. No, non è vero, sono soltanto integro, quindi ci sono tutti i cerchi concentrici dell’albero e si vedono quando lo tagliano. Ci sono da cerchietti piccoli che erano del busto, poi un po’ più grandi. Uno che non li tiene ben vivi è un cilindro cavo di legno e il vento lo tira giù. Ecco, quel bambino che ero, è enigmatico non solo per la distanza, ma proprio per lo sguardo che ha sul mondo.
– Che sguardo le porta il bambino sul mondo?
Dai bambini mi arrivano dei segni in due direzioni. Lo dicevo qualche giorno fa a Bologna, prima dell’inizio della Fiera del libro per ragazzi. C’era un bel convegno di poesia con tanti amici, autori e autrici come Chiara Carminati, Giusy Quarenghi, Silvia Vecchini, Roberto Piumini e altri. Il tema era l’inciampo della poesia, quello che squilibra e fa vedere le cose del mondo un po’ all’improvviso, in un’altra prospettiva. Io ho fatto vedere un mio slideshow che gira da molti anni e che è di grandissimo successo, perché fa morire dalle risate. Sono una serie di parole staminali dell’infanzia: le chiamo così perché il bambino le prova senza sapere ancora bene cosa vogliono dire e le mette lì, aspettando di comprenderlo dai contesti. La mia prima che ricordo era “Gesù-mi-metto” che per me era un Gesù un po’ piccolo, nanetto e simpatico. Fino a che non si è frantumata contro l’ortografia della preghierina della sera “Gesù mi metto nelle tue mani, tienimi tu, tienimi stretto”. Poi ce n’era una di mia figlia che era il “pisci-ancora” quando le ho detto di questo “Gesù-mi-metto”, lei mi ha detto: papà anche io ne ho una, è il “pisci-ancora” che chissà che cosa era per lei, forse uno che fa la pipì sempre. Invece era il secondo episodio di Guerre Stellari “l’impero colpisce ancora”. Fanno ridere. Ho scritto ad amici scrittori e avevo chiesto anche le loro e ne ho una collezione stupenda. Questi sono enigmi luminosi perché quelle sono parole sacre, sono stra-cariche di senso, perché sono staminali come le cellule, si aspettano di evolvere verso un senso o un altro. L’inciampo è quello lì, la poesia è quello. Perché queste parole sacre e tutte-potenti, dopo si infrangono con l’ortografia. Non servono più, non dovrebbero esserci più e invece sono incancellabili. La gente se le ricorda. C’è sempre, sempre qualcuno con gli occhi luminosi che dice, ah, io l’avevo! Era lì, anche se non viene usata da cinquant’anni. Perché ha una forza di evocazione del mondo. Ecco è la lingua sacra. Noi adulti questo enigma lo dobbiamo ridurre a notorietà, a evidenza. Non è un atto crudele, secondo me, è necessario. Noi gli dobbiamo dire no, non si dice “Gesù-mi-metto”, devi dirlo bene, Gesù non è un “mimetto”; divi dire bene, “acqua” perché, se hai sete lo devi dire bene, altrimenti non te la danno. Quindi è nostro dovere sfrondare tutta questa sacralità e ridurre alla definizione quadrata. Ma questa lingua sacra rimane non solo nelle memorie delle paroline staminali che ognuno si ricorda, ma nelle filastrocche dei bambini. È quella lingua franca dove inventano etica per etica, pelemplempe, etica per atto, peluto, pelemplempluto, stinco. Ne ho una raccolta che registro nelle scuole con lo smartphone da quanto sono belle. Quelle sono le oasi di conservazione, i sacrari, in cui i bambini conservano quel loro mistero, la lingua misterica. L’inciampo nella poesia è quello: quando una parola che sembra uguale a quelle corrette – grammaticalmente, ortograficamente – i poeti la scrivono in un modo che anche quello è staminale. Allora ridiventa un inciampo che ti apre una nuvola di significati, non un quadrato, ecco. In quelle radici lontane, ci sono queste radici di enigma luminoso dove il mondo era immenso e anche la lingua era immensa.
– C’è un collegamento con il verso “dipende da come mi abbracci”?
Sì, il distico intero dice “come sarà l’orizzonte che tracci, dipende da come mi abbracci”. Quindi l’orizzonte è già un abbraccio, in qualche modo, è un cerchio. Lì noi proiettiamo fin dove arriviamo, fin dove arriva lo sguardo. Anche l’abbraccio per il bambino deve essere qualcosa di simile, ma anche per il grande. Dice: tu arrivi fin qui. L’abbraccio contiene, mantiene e sostiene. Ma anche costringe, c’è un po’ il rischio che costringa. Se contiene e stringe… costringe. Quindi l’abbraccio ha a che fare con quello che dicevamo prima: deve essere tanto solido e deciso da sostenere e contenere, così che io mi senta sostenuto … Sono belle le parole! Sa che ho scoperto che davvero contento significa quello: contento, contineo, quindi tengo insieme e quando sono contento è perché mi sento tenuto insieme in qualche modo. Come diceva la famosa battuta del film di Sorrentino non ti disunire. C’entra con quello perché torniamo al fatto che sono enigmi luminosi. L’abbraccio gli deve lasciare delle brecce, delle crepe, delle vie d’uscita, degli spifferi, in modo che faccia respirare. Quando li trovano loro? Li trovano ad esempio nelle loro filastrocche per continuare a fare vivere, ad esempio, un po’ di quella lingua staminale. Ma poi anche tutto il resto, l’immaginario, Babbo Natale. L’abbraccio non deve essere troppo stretto, ci devono essere dei varchi perché entri ed esca l’incanto, tutto ciò che è inafferrabile.
– Come si collega questo con il mondo di P.I.P.P.I.? Come usare le parole staminali dei bambini anche per gli adulti?
Nel Convegno della Regione Toscana a Firenze dove ho conosciuto Paola Milani, avevo scritto una filastrocca finale, dovrebbe essere l’ultima delle rime d’occasione, che era un concetto correlato strettamente con questo di lasciare spazi.
Lasciate spazi, disegnate vuoti
Dentro i vostri progetti, educatori
Ariette, aiuole
Porte che danno fuori
Disegni non finiti, angoli al sole
Perché ci corra il cuore corridore
Dei pinocchietti veri
E fioriscano i pensieri e le parole
Come stupefacenti animaletti
Fate vuoti, precisi, protetti
E saranno più belli e leggeri
Anche i vostri progetti
Finalmente dopo molti anni che non sapevo bene come definirmi, capivo che non ero solo un poeta per bambini. Sì. Ci sono stati anni che usavo un termine bruttissimo che era la “mediazione adulta”. Invece adesso dico per bambini e per i loro grandi. Lo so che parlo anche a loro, ma parlo in quel modo lì, in versi, come li so scrivere io. Ed è comunque un’impresa di incoraggiamento. Ho scoperto che io e altri siamo incoraggiatori. Girando per le scuoline dei paesi piccolissimi, quello che ti chiedono è un certificato esistenza in vita: guardaci! Mi ero accorto di questo, che mi chiedevano, sì le mie rime e con tutto, ma ero andato lì da loro. Questo mestiere d’incoraggiatore poi si trasmette ai versi.
Le ferite sì, le ferite ci sono eccome e anche a loro, anche ai grandi può servire. A me sono servite le narrazioni per le mie ferite. Una signora mi aveva chiesto una filastrocca per due bambini feriti dal mondo. Erano due bambini egiziani che avevano visto capitare cose molto brutte fra il padre e la madre. Dice:
Bambino ferito per sbaglio da ciò che succede
Nel cuore fiorito c’è un taglio, però non si vede
Si è rotto un pezzetto di cielo da quella mattina
Bambino ferito si sveglia, si veste e cammina
Ma ascolta: la vita che passa è una mamma natura
Se vede quel taglio lo spalma di giorni e lo cura
Ci sono vacanze, gelati, ci sono altalene
Ci sono persone che vogliono che tu stai bene
Poi vengono belle stagioni, ti portano al mare
Tu vacci, fai finta di niente, tu lasciale fare
Le piante, le spiagge, le mani, le nonne, le arti
Le cose del mondo ci stanno provando a curarti
Non so se e quanto possa essere di cura per un bambino, ma forse anche per i grandi.
– Possiamo dire che anche i grandi sono enigmi luminosi? Cosa sono i grandi?
Sì, alcuni fanno di tutto per cercare di celarlo. Rassegnandosi a farsi rinchiudere in due o tre corazzine, ridicole viste da fuori, di ambizione, di egoismo, di egocentrismo, di odio, di collera. Ma io lo so che sono enigmi luminosi anche loro, è un po’ difficile avere fiducia e continuare a vedere degli enigmi luminosi, dentro adulti che accettano di auto-semplificarsi in questo modo.
– Ma come si allena il piccolo gesto?
Non ne sto facendo più molti e mi rimprovero. Ad esempio, oggi mi sono attaccato fuori nel giardino qua una cassetta delle lettere che era rotta da tanto. Mi sono sentito bene. Sono anche piccoli gesti di questo tipo. Non so se sia la vecchiaia, non ho più tanta voglia di farli. Forse bisogna imporsi di farli e poi sperare che diventino abitudine. Altrimenti ci sono quegli animi che non hanno bisogno di allenarsi, li fanno e basta. L’esempio è la predicazione: bisogna continuare a dirlo e dirlo bene, con le parole giuste.
– Nell’approccio di P.I.P.P.I. il bambino non viene messo da solo al centro. Come lo legge?
Da quello che ho letto, in P.I.P.P.I. il bambino non è solo al centro, anzi uno dei punti forti è che ci sono anche le famiglie, gli educatori. È un centro in cui cominciamo già ad essere molti. Questo è molto meglio rispetto al rischio che comunque c’è, secondo me, di metterlo da solo al centro, come se fosse al centro di tutto. È troppo, poveri! Sono già pochi, che sono sempre al centro di tutto e al centro di niente al tempo stesso. Lasciate spazi, disegnati vuoti: la filastrocca diceva di lasciargli dei vuoti disegnati comunque da noi, progettati, ma che siano vuoti. De resto, la piazzetta dove giocavo io era disegnata dai geometri comunali e lì ci giocavo. Uno spazio in cui siano soli e abbiano un rapporto orizzontale e autarchico. Se questo non succede, come tutti lamentiamo, il tempo libero è infestato di scuole di calcio, di danza, di compleanni gestiti dai genitori, quando non addirittura dagli animatori o dal McDonald. Quindi questi bambini sono sempre al centro di tutta una macchina di progettualità adulta, in tutto, nello sport, nel tempo libero, nella scuola, nello studio. Allora se li mettiamo al centro anche nel disagio non c’è proprio più quasi nessuno spazio, se non gli spazi dei social, ma poi lì diventa ancora più complicato il discorso. Invece, secondo me, se al centro siamo in molti e diversi, allora già si attenua il rischio.
– Qual è la sua esperienza sugli albi illustrati, il suo rapporto con gli albi nella relazione bambini e grandi?
Come autore, non ho una grande esperienza, a differenza di altri autori che conducono anche i laboratori. Ho il ricordo di come io li leggevo a mia figlia e adesso di come mia figlia li sta leggendo a suo figlio. Ad esempio, per i bambini piccoli una cosa che è l’abc, lo sapevo, però non l’avevo mai visto con i miei occhi, quanto sono importanti per i bambini molto piccoli gli albi con i fogli cartonati indistruttibili. Non solo non si distruggono, ma riescono ad acchiapparli, mentre invece si sentono frustrati coi fogli che non hanno la manualità fine da riuscire a pizzicarli per sfogliarli. Fino a tutta la ricchezza delle immagini. Credo che lì sia sempre questione di scelta e azzardo della qualità, del contenuto estetico alto delle immagini, anche se sono le più semplici e le più elementari del mondo. A Bologna per la fiera, nella Sala borsa c’era la mostra della Pimpa. Fuori c’era una fila che faceva quasi tutto il giro di Piazza Renzo e aspettava di entrare. La Pimpa ritrae degli oggetti e delle figure con profili forti, neri, sono semplicissimi. Come tutti questi librini che ho visto per i piccoli dove sono giustamente ritratti gli oggetti che loro conoscono: lo spazzolino, l’orsacchiotto, il bavaglino, il bicchiere. Però c’è un modo di disegnare quegli oggetti lì, io non so come sia perché non sono illustratore, ma se li fa Altan, diventano subito… poesia. Funzionano anche gli altri per la funzione informativa. Ora in queste cose mi sento un po’ sempre a disagio perché non sono un pedagogista; quindi, annaspo e mi vergogno anche di sentire la funzione informativa, confermativa dell’oggetto che io ho visto sul tavolo, poi lo vedo anche sul libro e quindi esiste, è ribadito il concetto, lo fisso di più eccetera. Immagino. Ma quindi, oltre alla presentazione, creare un mondo immaginario.
Ad esempio, ho scritto un libro sugli animali, intitolato Il giardino dei musi eterni, che è un romanzo sul cimitero degli animali. E lì si dice questa cosa qua: noi eravamo, per le mie letture incantevoli di zooantropologia, fratelli all’alba dei tempi e ci sposavamo fra noi e tutti i mostri che ci siamo immaginati di centauri, minotauri, erano tutti questi ibridi di uomini e animali; nell’embrione siamo simili, identici agli animali, poi ci differenziamo. Ma finché sono piccolissimi consoliamo i bambini con una grande compagnia di animali, sia sotto forma di giocattoli sia nei libri. Mentre di animali non ne vedono più, in giro, se non solo cani e gatti; quindi le mucche cosa sono? C’è questa funzione di raccontare il mondo reale e visibile che hanno intorno in modo informativo o poetico, con tutte le sfumature intermedie.
– Bruno, a questa realtà un po’ particolare che è P.I.P.P.I., che domanda farebbe?
Una domanda che mi verrebbe subito da dire è: come sta andando? Mi verrebbe da chiedergli: come sta andando, ma davvero. Noi abbiamo dei bambini e specialmente dei ragazzini, dei ragazzi, un’immagine, secondo me, che è calunniosa. Cioè, che è l’immagine che danno i media. Io vedo i bambini di quinta, di quarta primaria e terza eccetera, li vedo e dico che, secondo me, sta andando bene, che non sono come quelli che disegnano, che ci fanno vedere i media. In quell’ora e mezza che stanno con me, sono bambini uguali ai bambini di sempre. Non sono dei bulli, dei baby gangster. Non vedo i ragazzini delle medie e non vedo i ragazzi delle superiori perché non mi chiamano a fare incontri con loro. Le volte che mi chiamano sono così contento, ma è rarissimo. Dico loro: non mi sembrate così terribili. E quindi quello che chiederei, non so, forse non si può contrastare questa narrazione calunniosa, perché loro fanno un altro mestiere. La comunità di P.I.P.P.I. aiuta questi bambini a star bene. Perché io temo che a forza di calunniarli poi ci credano davvero anche loro che sono così terribili. Ci vorrebbe un dispositivo di amplificazione della foresta che cresce. Si dice: fa più chiasso l’albero che cade che la foresta che cresce, silenziosa. Bisognerebbe raccontare fuori una foresta che cresce, per contrastare un po’ questa narrazione di schianti continui.
Invece il consiglio più concreto è quello stesso che davo a me come incoraggiatore. E dicevo, bene, allora vado in giro e sono un incoraggiatore. La domanda che veniva subito fuori è chi incoraggerà gli incoraggiatori? Anche quelli hanno bisogno. Le risposte che mi sono venute sono due. Gli altri incoraggiatori, cioè gli altri che tu vedi nella strada più accanto, fanno cose diverse da te, ma nella stessa direzione. E ci sono. Non sai che incoraggiamento mi viene dalle maestre, che lo so che non sono tutte così, anzi sono poche, ma incontro delle maestre stupende. E dico, ma allora esistete! Quindi sia le maestre, ma sia altri artisti, sia scrittori, e anche voi di P.I.P.P.I. E poi gli incoraggiati: sono loro che ti incoraggiano, gli incoraggiati. C’è un circolo sanguigno che quando comincia a girare bene, il sangue va e viene. Quindi io gli direi: cari incoraggiatori non vi scoraggiate, non vi preoccupate, perché ce lo siamo già chiesti: chi incoraggerà gli incoraggiatori? Altri incoraggiatori e gli incoraggiati!
Input your search keywords and press Enter.