L’approfondimento

LA SFIDA DI DIVENTARE LEPS

Quasi 150 pagine, suddivise in sei capitoli che si propongono non solo di raccontare cos’è P.I.P.P.I. e il suo framework teorico e metodologico ma anche di approfondire chi c’è in P.I.P.P.I., i soggetti; dove si realizza l’azione, ovvero i contesti, e naturalmente analizzare cosa è cambiato, come e perché, cosa mostrano le evidenze e le azioni di ricerca aggiuntive.

Il Rapporto LEPS P.I.P.P.I. PNRR – FNPS, Undicesima implementazione, è un appassionato e dettagliato esercizio di analisi, documentazione e lettura prospettica di un tempo di implementazione del LEPS P.I.P.P.I. davvero unico nella storia del sistema integrato di interventi e servizi sociali in Italia. Un impegno di rendicontazione che nell’offrire i dati, almeno parziali, dei processi realizzati nel biennio 2022-2024 e degli esiti a questi riconducibili, mostra una situazione aperta e in vivace evoluzione.

Questa implementazione, infatti, coordina le azioni relative al finanziamento del PNRR ai 400 ambiti territoriali, una dotazione triennale a tutti gli effetti, con le azioni relative al finanziamento del FNPS per gli anni 2021 (P.I.P.P.I.11), 2022 (P.I.P.P.I.12) e 2023 (P.I.P.P.I.13). Una circostanza che genera implementazioni che in buona parte si sovrappongono tra loro. Si tratta dunque di fatto di una rendicontazione intermedia che si potrà concludere solo nel primo semestre 2026 quando tutte le tre implementazioni previste nel PNRR saranno ultimate. L’impegno è davvero di realizzare un ritmo costante di lavoro e dare risposte puntuali e tempestive ai bisogni evolutivi di bambini, bambine e famiglie, per cui, mentre alcune azioni con le famiglie iniziano e dovrebbero concludersi entro un tempo definito di 18-24 mesi, altre prendono avvio: un’intensità di intervento alla quale solo una parte degli ATS italiani, (circa 1/3) era già abituata grazie al lavoro realizzato nel decennio 2011-2021.

Quante famiglie sono state coinvolte e con quanti ambiti territoriali sociali partecipanti? Chiediamo a Paola Milani dell’Università di Padova, responsabile scientifica del lavoro sul Rapporto, con cui avviamo questa conversazione: “Il primo elemento da osservare riguarda il numero delle 4.178 famiglie coinvolte in P.I.P.P.I.11. Un dato straordinario se si pensa che da P.I.P.P.I.6 a P.I.P.P.I.10 le famiglie coinvolte in ogni implementazione erano mediamente 650. Questo significa che l’implementazione di P.I.P.P.I.11 ha coinvolto un numero di famiglie pari a circa 650 moltiplicato 7 volte. Inoltre, l’ampliamento risponde in modo omogeno a quello del numero e della geografia degli ambiti territoriali sociali partecipanti. Una sfida enorme se si considera che il nostro Paese ha un sistema di welfare regionale, molto diverso per spesa sociale e organizzazione da Regione a Regione e anche da ambito a ambito. I diversi assetti gestionali e politici, si realizzano dentro ambiti estremamente differenziati: molto piccoli in termini di popolazione, ma vasti per estensione geografica: ambiti urbani, di aree interne, montane, periferiche, magari costituite da piccoli comuni, ambiti che coprono parti immense di grandi metropoli, a cominciare da Roma capitale”. Tante differenze, organizzative, geografiche e culturali ma l’intenzione determinata di rendere esigibile a tutti il LEPS assicurando l’equità necessaria nell’accesso a servizi che garantiscano nel loro insieme una riposta uniforme al bisogno delle famiglie di essere accompagnate in un progetto di superamento della situazione di vulnerabilità che attraversano, per rimuovere alla radice le disuguaglianze. 

Rilevante il risultato che viene documentato: dopo i 18 mesi previsti dall’implementazione, per 2.144 famiglie, pari al 51% di famiglie coinvolte, è disponibile la documentazione completa relativa a tutto il processo di lavoro, compresa la sua conclusione. 

Per molte altre è noto che il lavoro è stato realizzato, ma che non è ancora stato documentato e/o completato: “Si tratta di un limite evidente – continua P. Milani- che indica la necessità urgente di superare le difficoltà di documentare e di garantire continuità e visibilità ai processi di intervento.  Per questo, tra le cause di ciò, per la maggior parte strutturali, si segnalano: l’alto turn-over, a volte anche la mancanza del personale, la difformità di formazione e cultura della valutazione e della documentazione, di organizzazione e coordinamento dei rapporti intersettoriali tra sociale, sanitario e educativo. Proprio per affrontare questi limiti profondi, è stato sviluppato un articolato piano di percorsi formativi, differenziati per bisogni, come rendicontato nel capitolo 4. L’intento, nello stile di P.I.P.P.I. è costruire un ponte di dialogo e riflessione solido e stabile tra ricercatori e operatori (coach e RT soprattutto) e tra operatori in tutta Italia. 

A questo riguardo merita un’attenzione particolare il formidabile impegno documentato per la complessa organizzazione delle giornate di tutoraggio: giornate dedicate a  “capacitare” il sistema dei servizi, supportando le singole équipe ad assumere un approccio alla valutazione che migliori l’intervento, rendendolo visibile all’esterno, attraverso un uso sistematico e sostenibile della documentazione. Ognuna di queste giornate ha registrato la presenza fisica di una media fra i 250 e i 300 operatori coinvolti nell’insieme dei 9 poli regionali. Poi, nei loro ambiti territoriali, si sono organizzate le stesse giornate di tutoraggio con i 6.506 operatori presenti nelle équipe multidisciplinari. 

Un grande scommessa, quella delle équipe multidisciplinari, ancora in divenire, ma realmente già attiva: il Rapporto mostra che sono composte mediamente da 4 operatori e nel 48% dei casi da quattro o più professionisti: assistente sociale (nell’84% delle EM), educatore (69%) e psicologo (47%), con la presenza o meno di altre figure, come insegnante (5%), pedagogista (4,5%) e neuropsichiatra infantile (1,4%).

Sui quattro dispositivi di intervento (il servizio di educativa domiciliare e territoriale, i gruppi genitori e bambini, il partenariato scuola/nido-famiglia-servizi e la vicinanza solidale), ovvero l’insieme degli interventi garantiti alle famiglie, integrati fra loro, i dati del postassessment delle 2.144 famiglie con documentazione completa confermano un’elevata intensità dell’intervento, con un vasto utilizzo di tutti e quattro i dispositivi, anche in compresenza e per l’intera durata dell’implementazione. Circa il 70% dei bambini ha potuto beneficiare di almeno tre dispositivi congiuntamente e quasi la metà (47%) di almeno quattro”. 

Il Rapporto mostra inoltre come una grande attenzione si è concentrata sul dispositivo che collega la scuola e i nidi al progetto di ogni bambino: si rileva una grande attenzione al coinvolgimento di educatrici e insegnanti nel progetto dei servizi sociali ed emergono nuove modalità di lavoro realmente collaborativo tra i settori sociali e educativo-scolastici in tutta Italia. 

Nel Rapporto non sono taciute le difficoltà. Ancora un 30% di famiglie non ha effettivo accesso ai dispositivi che, integrati tra loro in un progetto reale, insieme, fanno la reale differenza con le modalità più tradizionali di intervento, che ben documentano i dati presentati. 

L’integrazione tra dispositivi spiega anche il fatto che i dati di esito rilevati attraverso il framework de Il Mondo del Bambino attestano che per tutti i bambini coinvolti, dall’inizio alla fine della “presa in carico”, si registra un miglioramento statisticamente significativo.

Sulle forme, molto diverse, di vulnerabilità riscontrate nelle 2.144 famiglie, viene anzitutto segnalata la povertà economica che riguarda quasi il 75% delle famiglie; inoltre, particolare cura è dedicata a forme di vulnerabilità tradizionalmente invisibili, come quelle connesse alle situazioni di trascuratezza che vivono i bambini che crescono nei contesti della criminalità organizzata, che hanno i genitori in carcere, che sperimentano il fenomeno della violenza di genere, in cui ci sono i bambini più piccoli e in particolare nei primi mille giorni di vita.

Altre criticità evidenti riguardano le famiglie che hanno avviato, ma non concluso l’intervento e il numero di Ambiti Territoriali Sociali che non hanno neppure iniziato: su 457 finanziati, 419 hanno avviato il lavoro con le famiglie e inviato gli operatori alle diverse sessioni formative. La differenza, ovvero 38 ambiti, per lo più concentrati in alcuni Regioni del Sud, non hanno dato seguito alla proposta di attivazione, pur dopo aver firmato la Convenzione o accettato il finanziamento PNRR.  

Una evidenza che stimola il LEPS P.I.P.P.I., conclude Paola Milani, “coerentemente alla scelta di accompagnare le famiglie che sono spesso le “ultime della fila”, ad imprimere la stessa energia anche agli ATS che si sono presentati all’appuntamento con il PNRR come gli “ultimi” del sistema di welfare. A cominciare dalla formazione, tramite cui negli ultimi mesi, si stanno coinvolgendo anche questi ambiti, promuovendo un lavoro formativo personalizzato e un rinnovamento organizzativo generale.

Rilevante il dato sui bambini che iniziano in P.I.P.P.I. già coinvolti in un progetto di tutela che ha visto il loro collocamento esterno alla famiglia: sono registrati complessivamente 234 bambini, pari al 5,5% del totale. Sono invece 32 (pari all’1,5% delle famiglie di cui si ha postassessment disponibile) le famiglie per cui l’esito del Programma è stato l’allontanamento di uno o più bambini del nucleo, dato in media con le ediizoni precedenti. La metà di questi allontanamenti è inoltre avvenuta all’interno di un progetto condiviso con la famiglia e nel 28% delle situazioni il progetto ha proseguito nella modalità prevista da P.I.P.P.I., allo scopo di assicurare la prosecuzione di un progetto volto alla promozione dello sviluppo del bambino e al rinforzo delle competenze genitoriali (e non solo alla protezione del bambino), all’interno di un percorso di co-costruzione con la famiglia.

Il Rapporto sulla undicesima implementazione fotografa dunque il passaggio dall’attuazione di un programma all’esigibilità di un LEPS: per ampliamento quantitativo e qualitativo degli ambiti territoriali sociali coinvolti, di famiglie e di operatori e il considerevole, costante, investimento di risorse sull’insieme dei processi formativi.

È grande, e sfidante, il lavoro che resta da fare: ma il lavoro di accompagnamento dei servizi documentato mostra con evidenza che più del 50% delle famiglie coinvolte ha migliorato la propria capacità di risposta ai bisogni dei bambini, le relazioni con la propria comunità, che più del 90% degli ATS sta lavorando, a velocità diverse, ma è seriamente impegnato a garantire l’effettivo, concreto superamento delle condizioni di disuguaglianza ai bambini e ai loro genitori. Perché un futuro diverso sia sempre possibile, per tutti”.

 

 

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