Giorni molto partecipati dei tutoraggi a Bari, Polo Puglia-Abruzzo-Basilicata. La ricchezza dei contributi e degli scambi tra operatori, coach, referenti territoriali e formatori si è sviluppata in plenaria e nei gruppi ristretti, disegnando le tante dimensioni del LEPS P.I.P.P.I. con una particolare attenzione all’accompagnamento di famiglie con percorsi migratori.
Una vivacità del LEPS P.I.P.P.I che si realizza nelle concrete implementazioni degli ambiti territoriali, dove ha un ruolo fondamentale la funzione del coach. “È importantissimo il lavoro di accompagnamento nelle équipe con la singola famiglia, nel lavoro quotidiano, per capire come interfacciarsi, come relazionarsi. È fondamentale comprendere anche le singole parole che si utilizzano e verificare che si siano comprese bene anche le loro parole, come loro si raccontano” osserva Maria Rosaria, coach di Gagliano del Capo. “Il lavoro fondamentale dei coach, è proprio questo richiamo continuo ai fatti, ma non solo alla descrizione dei fatti, ma proprio a come vengono narrati dai loro protagonisti. Dobbiamo sempre rimanere ancorati ai loro racconti, proprio per non perdere il loro punto di vista e anche, nella relazione, far capire il proprio, essere sicuri che loro abbiano capito anche il nostro punto di vista”.
Con delicatezza. “È fondamentale, perché a volte si può essere fraintesi o le famiglie possono interpretare certi interventi come impositivi, ma magari è soltanto un aiuto che si vuole offrire. Per questo bisogna essere molto delicati. I coach aiutano in questo, l’ho visto e lo vedo nelle colleghe. Il punto principale è questo: rimanere sempre ancorati alla descrizione dei comportamenti, a come si comportano i bambini, a come si comportano i genitori, non arrivare a conclusioni affrettate”. Forte l’esperienza dei tutoraggi “in loco”, cioè gli incontri tra tutte le équipe insieme: “È importante perché un operatore impara dall’altro, questo scambio è fondamentale. Noi, quanto più andiamo avanti, più abbiamo la necessità di questi incontri di tutte le équipe, proprio perché attraverso il racconto che fa un’équipe del lavoro svolto con una famiglia, tutti gli altri apprendono di conseguenza. Questi apprendimenti sono essenziali proprio perché vengono dall’esperienza concreta di ciascuno”.
Le testimonianze di Carmen educatrice, di Antonella pedagogista impegnata nel servizio di mediazione culturale, di Lucia assistente sociale e Marco educatore alla sua prima esperienza di tutoraggio arricchiscono prospettive e punti di vista.
“Lavoro nell’ambito territoriale di Ginosa – racconta Carmen – sono un’educatrice professionale. La famiglia che accompagno con background migratorio è composta da cinque persone, il papà e tunisino, mentre la mamma è italiana, della zona. Il programma è stato avviato per supportare la famiglia in quelle che sono le piccole attività quotidiane, in quanto la madre ha dei piccoli problemi psichiatrici, va aiutata nella cura dei figli e nella socializzazione, perché non lavora, è sempre a casa. Si è così attivato per lei un progetto territoriale che le consente di fare delle attività che la gratificano e motivano. Il padre è abbastanza integrato nel territorio, lavora, ed è un genitore affettuoso, che si occupa anche delle faccende domestiche, cercando di far fronte ai vari bisogni. Dopo un iniziale momento di non accettazione dell’educatore, poi il nucleo familiare ha ben accettato l’educativa domiciliare e anche gli incontri con i genitori a cui partecipano assiduamente e danno spunti per gli incontri successivi, rapportandosi in modo positivo con gli altri genitori e i loro bambini con i loro coetanei. Si lavora in équipe con la scuola per il figlio maggiore che ha alcuni problemi a livello comportamentale, e così con lo psichiatra che segue la madre. Tutto questo per permettere di raggiungere meglio gli obiettivi che l’équipe multidisciplinare si è prefissa. È la mia prima famiglia in P.I.P.P.I. con background migratorio e mi auguro di dare un contributo sempre più appropriato per poterle integrare maggiormente nel territorio, nel modo più accogliente possibile”.
“Il nostro obiettivo principale è quello di continuare a fornire buone prassi e collaborazione con l’équipe P.I.P.P.I, in modo tale da offrire anche un punto di vista differente che è quello dell’intercultura che è arricchente sia per il servizio sia anche per tutta la comunità” sottolinea Antonella, pedagogista e una delle quattro figure professionali che si occupano del servizio di mediazione all’interno dei contesti educativi dell’ambito territoriale sociale di Gagliano del Capo. “Abbiamo collaborato con l’équipe P.I.P.P.I., con cinque famiglie di origine straniera. Siamo riusciti a creare con questo servizio un rapporto autentico che ha fatto nascere vere e proprie relazioni. Lavoriamo in questa prospettiva con le famiglie: costruire relazioni. Non lavorare in termini di integrazione, intesa come atto di inglobare il bambino, la bambina, all’interno del gruppo classe o della comunità, ma nell’ottica dell’interscambio, dell’intercultura appunto, del dialogo e della relazione”.
“La nostra esperienza è molto positiva, abbiamo avuto modo di accompagnare 30 famiglie che vivevano una situazione di vulnerabilità” riconosce Lucia assistente sociale dell’ambito di Casarano, in provincia di Lecce, referente territoriale del programma P.I.P.P.I. “In particolare, nelle ultime due implementazioni, abbiamo avuto la possibilità di affiancare famiglie con percorso migratorio alle spalle con le quali abbiamo ottenuto ottimi risultati, grazie anche al lavoro di rete realizzato nell’ambito con P.I.P.P.I. Si è riusciti a realizzarlo su tutto il territorio, sia con i servizi specialistici, prima di tutto quello di mediazione culturale nelle scuole, sia anche con altri istituti e enti del territorio. Con le scuole abbiamo avuto modo di sottoscrivere un protocollo, grazie al quale P.I.P.P.I. è riuscito a entrare nelle aule e sperimentare un progetto che abbiamo chiamato Inside Out che lavoro sulle emozioni di tutti i bambini della classe, non solo di quelli accompagnati dal programma. Si è sviluppato all’interno della classe un clima empatico e di accoglienza che ha favorito il raggiungimento degli obiettivi definiti con le famiglie con percorsi di migrazione alle spalle”.
Con l’emozione del primo tutoraggio Marco, Ats di Canosa, osserva: “Tra formazione in presenza e formazione online c’è una differenza abissale. Anche a livello pratico, perché nella modalità online si perdono contenuti e relazione. Invece con la formazione in presenza, ho capito meglio cosa volesse dire P.I.P.P.I. Oggi abbiamo fatto una formazione dedicata alle famiglie immigrate e comunque straniere. Riguardo a questo, per me che seguo già delle famiglie inserite nel programma P.I.P.P.I., sto ricevendo nuovi strumenti per relazionarmi con loro”. Con uno sguardo concreto: “Il problema principale è che, a volte, queste famiglie vengono lasciate sole: si cerca di creare dei ponti, però poi, nella quotidianità, comunque spesso rimangono delle famiglie isolate. Oggi sto scoprendo, grazie a dei colleghi che hanno fatto degli interventi specifici, che in realtà ci sono molte alternative per far sentire queste famiglie meno sole. Abbiamo sentito colleghe che hanno cercato di insegnare l’italiano a delle madri che non parlavano la nostra lingua; altre colleghe hanno agevolato i figli nella socializzazione tra pari. Queste sono dinamiche che spesso vengono sottovalutate, perché nella mia esperienza, di solito l’educatore si occupa dei bambini e dei ragazzi soprattutto per la parte di accompagnamento scolastico, per la compilazione dei compiti, però poi si perde un po’ l’insieme. Il LEPS P.I.P.P.I cerca di allargare l’approccio, di dare attenzione agli altri argomenti e alle diverse tematiche”. Un impegno di accompagnamento di bambini e famiglie con background migratorio che cresce nel confronto e nello scambio di esperienze.
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